Gli Spazzi
7 Prefazione di Cristina Beltrami Nel 2011 il centocinquantenario dell’Unità d’Italia e, in seguito, la meno glo- riosa ricorrenza della Grande Guerra hanno riacceso l’attenzione sulla scultura monumentale. Un soggetto che per decenni era stato appannaggio di pochi stu- diosi, tenaci sostenitori del valore dell’opera di una schiera di artisti velocemente licenziati come i “lavoratori della gloria” (Ettore Janni, in “Emporium”, 1919, n. XLVII), un giudizio in linea con l’anatema rodiniano sugli scultori monu- mentali italiani: “impegnati a copiare nelle loro statue, ricami, merletti, trecce e capelli” (A. Rodin, L’Art. Entretiens Rèunis par Gsell , 1911). La scultura monumentale è invece patrimonio collettivo, nelle piazze come nei cimiteri. È recente la consapevolezza che la statuaria cimiteriale non è una disciplina minore, e non è anzi immaginabile tracciare una storia della scultura europea senza tenerne conto. Gli studi di scultura di Camilla Bertoni hanno preso le mosse proprio dal camposanto veronese; è avvenuto lì il primo incontro con la famiglia Spazzi, un cognome che di per sé è sinonimo di secoli di pratica scultorea. Dopo anni di appassionata investigazione, Camilla Bertoni pubblica un vo- lume che, supportato da una scrupolosa indagine d’archivio e accompagnato da un ricco apparato fotografico, ripercorre le vicende degli Spazzi. Una discen- denza che per sette secoli ha operato nell’ambito della decorazione scultorea a diversi livelli, con differenti approcci tecnici e stilistici e naturalmente in aree geografiche talvolta distanti. La storia più strettamente veronese ha inizio nel Settecento con Antonio Spazzi e soprattutto con suo figlio Grazioso che, allievo di Pompeo Marchesi a Brera e di Innocenzo Fraccaroli, traccia il solco seguito da un’intera generazione di artisti veronesi. Una lezione che passa fatalmente per l’Accademia ma anche per le opere presentate alle mostre o svelate in città. Gruppi che testimoniano l’elaborazione di un linguaggio proprio che, dalla ci- tazione canoviana arriva, con la maturità, a occhieggiare al realismo di Vincenzo Vela, come bene testimoniava il Monumento Sacchetti (1850) purtroppo semi- distrutto dai bombardamenti, ma che il libro restituisce grazie ai documenti d’archivio. Sul fratello, Giovanni Spazzi, che si forma invece all’Accademia di Belle Arti di Venezia e lì ha il suo esordio espositivo a metà dell’Ottocento, le notizie erano assai sommarie fino a questa pubblicazione che ne ricostruisce la carriera anche grazie al ritrovamento di un carteggio inedito relativo al Monumento funerario di Gian Battista Cressotti .
Made with FlippingBook
RkJQdWJsaXNoZXIy NTgyODY=