Gli Spazzi

48 da camera damascata e il mo- mento privato, con l’intimità dei suoi sentimenti, diventava momento pubblico, da far co- noscere al resto del mondo. In quel luogo privilegiato che è il colonnato della città dei mor- ti, destinato solo ai notabili della città – mentre per la gen- te comune c’era il campo con le sue croci originariamente tutte omogenee, senza alcuna distinzione –, la morte diven- ta messaggio da trasmettere a tutti coloro che avrebbero po- tuto trarre insegnamento dalla loro vita e beneficio dalla loro dipartita, attraverso le opere e i lasciti. Bernardi si pronun- ciava con queste parole: “[…] Il suo quadro è senza le risor- se di estetiche forme, è in co- stume[…]. Il corpo che veste queste passioni è trattato da artista perito: le mosse spon- tanee, le posizioni naturalis- sime, l’assieme mirabile.[…] Il Conte Proprietario volle che [l’artista] restasse più fedele possibile ai ritratti di famiglia. Così i rabeschi posti sulla veste del vecchio stesso, non fu pensiero dello scultore, ma desiderio del conte. A me, fosse anche un’u- sanza introdotta di recente tra i più abili scultori, spiace vedere impicciolirsi lo scalpello nella descrizione di un pizzo o trapunto; come sul dinanzi d’un quadro del Canella mi spiacerebbe vedere i dettagli d’una foglia, o i petali d’un fiore. […].” 23 A Giovanni Spazzi viene a quanto pare spontaneo trasgredire le regole formali che vigono nella città dei morti. È sempre lui infatti a far volare l’ Angelo per il piccolo Giulio Bassani nella vela del soffitto voltato del colonnato, sopra al cor- nicione, uno spazio che il rigido regolamento del cimitero non aveva destinato 23 “Collettore dell’Adige”, 8 gennaio 1853, p. 1. 39

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