Gli Spazzi
45 dal fratello Giovanni, rimasto fin qui all’ombra del primogenito, se si esclude la vicenda del Monumento Erbisti Brenzoni (foto 36, 37) che tra poco vedremo. Una supplica che andrà delusa nonostante i tentativi di Grazioso e di Augusta Spazzi (la sorella?) di portarla a buon fine anche oltre la morte di Giovanni, avvenuta nel 1866. Nel 1867 il giovane Ugo Zannoni, già allievo di Grazioso, poco più che trentenne e reduce dal successo dell’inaugurazione del Monumento a Dante avvenuta solo due anni prima, si fa avanti in questa disputa, offrendo in dono alla città di Verona un busto di Sanmicheli da lui realizzato. È l’occasione per Grazioso e Augusta di riproporre ancora una volta 21 la scultura eseguita da Gio- vanni, ma la gratuità del dono di Zannoni, che proponeva una permuta con uno spazio sepolcrale al cimitero, ha partita facile rispetto alle richieste degli Spazzi. Giovanni Spazzi aveva studiato scultura all’Accademia di Venezia, come si evince dagli Atti dell’istituto del 1844, ottenendovi già da studente ottimi rico- noscimenti. Il suo esordio espositivo avviene nella città lagunare dove nel 1846 espone una Saffo ricordata anche in occasione dell’inaugurazione nel 1852 del Monumento Erbisti Brenzoni (foto 36, 37) al Monumentale di Verona, una com- mittenza quest’ultima che rappresentò per Giovanni una delle sue maggiori oc- casioni . Committente era stato il conte Paolo Brenzoni insieme al fratello Anto- nio in occasione della morte della madre, Angela Erbisti (doc. 7a, 7b) . Paolo e sua moglie Caterina Bon, poetessa, sono esponenti di quella classe sociale cólta e di nobile ascendenza che guarda al futuro con coraggio e voglia di cambiamento. La loro casa, dove è spesso ospite il poeta e patriota Aleardo Aleardi, è il ritrovo di un mondo che cerca nuovi punti di riferimento, e i loro lasciti saranno tutti in favore della città, con Caterina che nel 1856 dona gran parte dei suoi averi per il mantenimento dei poveri e con Paolo che alla morte, avvenuta nel 1869, con un gesto già stabilito quindici anni prima, destina le sue ricchezze alla fondazione di una scuola di pittura e scultura aperta a tutti (e nelle sue volontà, oggi disattese, gratuita). Scuola che ancora oggi esiste e porta il suo nome. Da un simile ambito sociale e culturale, non ci si poteva aspettare che scelte innovative: il conte Paolo incarica come autori del monumento per la madre una squadra di giovani artisti, “emergenti”, come si direbbe oggi. Come si legge anche sulle pagine del “Collettore dell’Adige”, che il 3 novembre 1852 recensì con enfasi ed entusiasmo il nuovo monumento appena scoperto nel giorno dei defunti, il disegno dell’insieme, di forme neorinascimentali, spetta all’ingegner Filippo Messedaglia, la figura allegorica con la Speranza nella lunetta in alto fu eseguita da Giuseppe Poli. Per i fregi floreali la scelta non poteva che cadere su Salesio Pegrassi, discendente di una famiglia di scultori veronesi specializzata in questo genere e di successo riconosciuto con committenze provenienti an- 21 Delle istanze presentate si trova traccia sia nelle cronache dei Consigli Comunali di quegli anni che in una lettera inviata da Grazioso al quotidiano “L’Adige” in data 4 gennaio 1867, cfr. C. Bertoni 2001.
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