Gli Spazzi
8 Ed è Giovanni a spingere la scultura degli Spazzi verso un più accentuato realismo, evidente fin dal fregio centrale con la Benedizione materna (1852) del cimitero di Verona, tacciato proprio di aver messo in scena una narrazione trop- po esplicita della morte. Il testimone passa in seguito ai figli di Grazioso, Carlo e Attilio: entrambi fini ritrattisti la cui carriera comincia proprio nel cantiere della Protomoteca cittadina, accanto al padre. I due fratelli si aggiudicano anche il concorso per il Monumento a Cavour (1890) con un bozzetto che ritrae lo statista a figura inte- ra, in una posa solenne ma al tempo stesso quotidiana, specchio di virtù morali quanto umane. In questa fase la bottega Spazzi diventa assai prolifica, la firma si trasforma in marchio - “Spazzi da Verona” – che si ritrova in tutta la provincia e oltre. La fama di Carlo Spazzi si consolida nel 1891 quando ha la meglio sugli altri ventitré partecipanti – alcuni di grande valore - al concorso per il monumento a Giacomo Zanella da erigersi a Vicenza. Sul finire del secolo gli Spazzi si fanno portatori di modelli cimiteriali di grande successo: recupera il modello dell’angelo monteverdiano il Monumento Pindemonte Moscardo (1898) mentre si avvertono echi bistolfiani nella svolta Liberty della lunetta del Monumento funerario Zuccoli (1910) e di altri marmi che anticipano la presenza in città del maestro di Casale Monferrato – Leonardo Bistolfi svelerà il suo Lombroso a Verona solo nel 1921 – di oltre un decennio. Non bisogna dimenticare che Verona fu teatro nell’Ottocento di importanti dibattiti attorno a concorsi internazionali: dal Garibaldi al Vittorio Emanuele II sul quale, nel 1879, viene interpellato pubblicamente anche Camillo Boito affinché la scelta della posizione sia la più appropriata. Quest’ultima generazione di Spazzi dunque matura e opera in un contesto ricco e stimolante che il libro ha il merito di mettere in evidenza. La vicenda degli Spazzi, e con essa il volume, si esauriscono nella stagione dei monumenti post-bellici; un’epoca densissima di lavoro al punto che, nello stesso anno in cui gli Spazzi svelano l’ Enrico Sicher a Verona (1919) L’Illustrazione Ita- liana inaugura una pagina specifica alla corsa commemorativa nazionale. Perché a dispetto di una critica e di una consuetudine storiografica che hanno tardivamente rivalutato il secolo a cavallo tra Otto e Novecento - e tenendo la scultura in disparte rispetto alla pittura – la stagione monumentale italiana ha conosciuto in quasi ogni città un florilegio di grande interesse. Quell’esemplarità, nel contenuto e nella forma, che le era stata riconosciuta nell’Ottocento, tanto che Ottavio Lacroix scrive che “il carattere di ciascun po- polo si disegna e s’esprime in questi monumenti”, intesi come monumenti fu- nebri (da La tomba di Mulready , in L’Esposizione Universale Illustrata , 1867) era venuta meno. Solo grazie a studi come quelli di Camilla Bertoni è stato possibile ricollocarli nella corretta prospettiva culturale.
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